mercoledì 17 ottobre 2012

La Biennale

Rompo ... il silenzio, assieme ad altre cose,
solo per un motivo importante.

Settecentotrentuno giorni fa, vale a dire due anni contando il bisestile 2012,
nasceva in terra d'Africa MARIA, acclamata da bianchi e neri, da una nonna fuori di testa e da uno zio con la malaria, giunto fino in Camerun praticamente apposta per lei.

Sembra che fosse la prima bianca nata nell'Hopital Saint Luc di Mbalmayo, capoluogo del dipartimento di Nyong et So'o, Regione del Centro, Cameroun.
Se volete vi do pure le coordinate della casa...

Oggi Maria compie due anni, non sta zitta un attimo, parla quasi due lingue, e ha pure un fratellino Gegè da spupazzare.


AUGURI MARIA!


Sembrano degli Jashgawronsky Brothers...

Maria
Geremia (Gegè)

martedì 7 febbraio 2012

Geremia

Nome che viene dall'ebraico, significa "Esaltazione del Signore".
Io eviterei, poi si monta la testa, già si sente un dio.



Dopo un secolo e mezzo, ecco di ritorno il vostro miglior blogger degli ultimi 150 anni... 
ah no, quest'umorismo è passato di moda.
Neanche fosse un fiore di campo, colgo l'occasione per farvi conoscere Geremia!
La seconda miglior invenzione di mia sorella (in senso cronologico).
Dicono che non abbia fatto tutto da sola, ma si sa, la madre è certa. Sai che brutto avere una madre incerta.

Il Primo Febbraio dell'ultimo anno di questo triste mondo del 2012, alle ore 19.24 ora del Camerun,
che poi è anche l'ora italiana, viene al mondo l'afro-veronese-brianzolo numero due: Geremia!

Lo scrivo in grassetto perché pesava tre kg e otto e venti, tanti capelli, una sorellina, due genitori, una nonna e una prozia a fare da balie! Solo non si vedono i due liocorni. Magari ci sono e sono nascosti. O magari son proprio lì ma nessuno sa come son fatti, dato che non si sono mai visti.


Stavolta non sono là a fare lo zio-sitter come diceva qualcuno, seguo gli eventi a distanza.




Eccovelo qui con la sorella "grande" Maria, che con i suoi 15 mesi e mezzo abbondanti la sa lunga:





Si ringrazia in particolar modo l'ostetrica ;)

Geremia Marelli, si perservera nel risparmio delle lettere, a quanto pare.
E meno male che di cognome non fa Zaccon o simili :)


Seguiteci su questo blog, PUNTUALI ogni 28 mesi! Ma no, non è nemmeno un anno.


lunedì 23 maggio 2011

Giù al Nord - Da Rhumsiki a Waza e rientro a Garoua

Beh, o scemiamo, o continuiamo...
Questa cosa era già in forma di bozza molto tempo fa, praticamente quando ho scritto
il precedente racconto. Ora sembra quasi ridicolo continuare, ma meglio tardi che mai.

Avevamo lasciato il nostro eroe sul cassone di un pickup, all'addiaccio in una mattina
di Harmattan, il vento freddo e polveroso, nonché bastardo, del deserto.
Tuttavia il nostro eroe si lasciava ubriacare dalla bellezza dei paesaggi montani che offre questo Camerun. Il trasferimento verso il parco nazionale di Waza prevede una deviazione verso Tourou, villaggio con un mercato, famoso per le calebasses (leggi calebàss), delle zucche rinsecchite che le donne usano come copricapo. Si rifà per un gran tratto lo stesso percorso fatta per arrivare a Rhumsiki, poi si devia a sinistra per Tourou, un'altra ora e mezza con la solita strada piena di buche. In tutto questo tragitto io sono dietro, man mano che si procede la temperatura si alza, mi levo la felpina, mi spalmo la crema solare, e non ci penso nemmeno a rientrare nella vettura, sono rapito, estasiato, completamente innamorato di quei paesaggi che sono riuscito a fotografare poco, data la posizione non esattamente comoda. Villaggi, gente che lavora in campi di cipolle, bambini che ti urlano il solito bonjour cadeau, ma che soprattutto ti salutano, e per non deluderli io ricambio sempre. Un'ora e mezza passata a fare il gesto del saluto con la mano destra. Sono rintronato quando arriviamo, il villaggio di Tourou quasi non mi interessa, ma un giro bisogna farselo. Troviamo un cibo nuovo, che non so come si chiami, delle specie di frittelle di riso, non troppo gustose, ma comunque buone e nutrienti, si può pagare anche in valuta nigeriana, qui siamo ancora più vicini al confine. Pensavamo di trovare calebasses ovunque, invece sono solo un paio di negozietti a venderle e pochissime donne a indossarle, forse è rimasta una tradizione viva solo grazie ai turisti. Qualche bianco, qui, due coppie. In generale in Camerun vedo veramente pochi bianchi, tanto da salutarli d'istinto, come a dire "anche tu quaggiù eh?". Che se ci si pensa è abbastanza ridicolo, che ho io da spartire, che so, con un americano? C'è un bianco a Mbalmayo, probabilmente francese, che vende polli vivi appena fuori dal mercato. Ma sto divagando. C'è una collinetta appena fuori Tourou, e la mia naturale propensione per le alture mi spinge su, e riesco a fare qualche filmato dall'alto, mi sento felice, finché la mia macchinetta fotografica nonché videocamera, ancora una volta mi pianta, e comincia a non registrare più nulla di quel che riprendo. Mi chiedo come si dica fanculo in Fulfuldé, che ricordo essere la lingua delle popolazioni nordiche, i Fulbé e non solo. Ma sono da solo sulla collinetta, e pensando "proprio adesso che stiamo andando dalle bestie feroci", scendo un po' incavolato, convincendomi che sia colpa della schedina di memoria (SD da 16 Gb per i curiosi) e mi ricongiungo con gli altri, che hanno comprato qualche zucca vuota. Io no, non mi sento molto portato per gli acquisti. Apprezzo l'artigianato, ma mi stanca il comprare e portare in giro, io ammiro sul posto e fotografo. Azz non posso manco fotografare... Va bene, ripartiamo, io rientro in macchina perché fa troppo caldo. Per strada c'è chi cerca di venderci un camaleonte, poi intravediamo una macchina con 4 ragazze bianche, anzi, una mulatta, che a prima vista sembrano anche molto carine, ma si stanno dirigendo a Tourou, da dove proveniamo noi, io propongo di tornare indietro o di lasciarmi lì, ma proseguiamo, si ritorna sulla strada per Mokolo, dove troviamo finalmente l'asfalto, che, una volta tanto, è bramato. Dicevo nell'altro post che è una cittadina anonima, ma con mio enorme stupore trovo un negozietto che vende schedine di memoria! Incredibile, non costa nemmeno tanto e me ne compro una di ricambio. Parentesi tecnica: è una micro-SD, con tanto di adattatore per farla diventare una SD normale, solo 2 Gb, ma dovrebbero bastare almeno fino al ritorno alla base di Garoua, se ho bisogno di spazio magari trasferisco il tutto su DVD, dato che sono attrezzati. Pranziamo sul cassone del pickup con del manzo comprato dall'autista, avvolto, secondo norme sanitarie, in carta che un tempo era probabilmente un sacco di mangime, se non di cemento, come spesso accade. Poi ripartiamo, su consiglio dei preti pazzi non prendiamo la strada principale, che passa da Maroua e che sarebbe asfaltata ma messa molto male. Percorriamo invece un'alternativa, che passa per un posto chiamato "Col di Koza", io non resisto e risalgo di nuovo sul cassone, stavolta arraggiando i vari zaini a mo' di giaciglio, e a tratti in piedi, a tratti sdraiato, sto lì sopra per almeno altre 2 ore. Sono probabilmente due fra le ore più belle della mia vita, sono rilassatissimo, spesso mi addormento, saluto bambini divertiti, vedo villaggi arroccati su colline sassose, ho una visuale molto più ampia dei miei compagni di viaggio costretti dentro alla vettura. I quali ogni tanto aprono un finestrino e mi urlano qualcosa come "sei vivo?". Vivo e felice, direi, anche se mi irrito un po' la pelle per il sole e la polvere, ma non importa, passerà, anzi, mi ripeto: "cacchio se ne vale la pena". Il villaggio di Koza con relativo Colle mi fa venire la voglia di picchiare sul tetto del pickup per fare segno di fermarci, decido all'istante di abitare lì, poi cambierei idea dopo 5 minuti, probabilmente, ma è amore a prima vista. Non so descriverlo, forse non è niente di speciale, ma con quelle capanne, arrampicate su ammassi di sassi (definirle colline è riduttivo), con quel sapore di montagna in terra d'Africa, sento esercitare su di me un'attrazione immensa. Facciamo una piccola sosta in un villaggio strano, sembra quasi una cittadina, chiediamo quanto manchi a Mora (che non è Maroua, la fantasia è sempre carente), dove finalmente riprenderemo l'asfalto, e pare che nessuno lo sappia, neanche fossimo dall'altra parte del Camerun. Fra quei pochi che lo sanno, bisogna fare la media, chi dice che è lontanissimo, chi dice 15 km. Penso che molti qui non abbiano mai viaggiato in macchina, e non abbiano idea delle distanze. Infatti dopo 15-20 minuti arriviamo, ci asfaltiamo, io rientro al coperto e via, verso il parco nazionale di Waza.

Il nostro autista/accompagnatore/guida si rivela sempre utile, mentre percorriamo gli ultimi chilometri prima di Waza ci regala un paio di avvistamenti di scimmie nella savana ai lati della strada. Finalmente si arriva al Campement alle porte del parco,
è una sorta di albergo sparso, con i bungalow. Siamo in 3 uomini e una donna, e ovviamente la ripartizione è un bungalow da tre e uno singolo. Solo che in quello singolo ci mandiamo il musico, date le sue già decantate abilità russatorie. La prende con filosofia, anche perché sta molto più comodo, e ricordo che è un signore più grande di noi. Prima che faccia buio ci facciamo un giretto su una collinetta rocciosa che sovrasta il parco, il panorama è notevole, sembra di essere nel punto dove il piccolo Simba veniva presentato ai suoi sudditi, appena nato. Col binocolo avvistiamo anche qualche animale, probabilmente uno struzzo lontano e qualche babbuino.
Il mattino seguente, alle sei del mattino siamo già a far colazione, perché il parco apre alle 6.30 e gli animali si avvistano più facilmente all'alba. Avendo dei permessi di soggiorno (2 su 4), entriamo con le tariffe per residenti, dopotutto siamo italiani, quando si tratta di risparmiare non ci tiriamo indietro. E` obbligatorio entrare con una guida locale che conosca bene il parco, il nostro autista non vale, non è autorizzato, quindi paghiamo a parte un tale che sembra più arabo che camerunese, ha una faccia simpatica e sembra vecchissimo. Quindi siamo in sei in macchina, ma poco male, io salgo subito dietro, anche se fa freddino (altro che nord caldo!), per gli animali questo ed altro. Poco dopo sale dietro con me anche la "guida", che in breve scopriamo essere più un avvistatore, come in effetti già avevo letto in qualche descrizione cartacea. Cioè non ti racconta nulla né di animali né di storia del parco, ma rimane inebetito a guardarsi intorno, nel suo grande fazzoletto arabeggiante. Non mi ispira molta fiducia. Infatti per oltre due ore non vediamo che uccelli, belli, per carità, variopinti, ma noi siamo lì che sogniamo le belve feroci. Cioè il leone, dato che è l'unico che si trova nel parco. Non vediamo lui, ma le sue tracce sì, come quelle di altri animali, tipo l'elefante, con almeno un piccolo. Con tracce non parlo solo di impronte, per esempio ci sono delle cacche di pachidermi, dal cui calore si capisce che non è passato molto tempo dal loro passaggio. Il calore, come ho scoperto da quello che ha fatto il nostro autista, si valuta molto bene se si inseriscono due dita dentro... Mi appunto di non stringergli la mano per qualche giorno almeno. Vabbé che di fatto è tutta erba, però...
Con il procedere della mattinata torna il caldo, che si fa anche bello tosto, e comincio a rivalutare l'avvistatore, ha la vista da falco, scorge movimenti a centinaia di metri di distanza. Infatti vediamo antilopi, fra cui un'antilope cavallo, molto grossa, scimmie, e un nutrito gruppo di elefanti nell'erba alta, di cui quindi vediamo praticamente il dorso e parte della testa. Ne contiamo 11, poi scopriremo che sono di più. Io avvisto anche un gruppo di facoceri, che indico io all'avvistatore, li abbiamo fatti scappare con il rumore del pickup. Chi non sa cosa sia un facocero, pensi a Pumba ;) o comunque a una specie di cinghiale. Non ricordo a che punto della giornata, la mia videocamera mi ha nuovamente abbandonato, solito problema, non salva più i filmati e cancella quelli presenti. Comincio a pensare che non sia un problema di schedina, trovo improbabile che ne abbia ben due rovinate, di cui una nuova (ma in effetti, camerunese). Alla fine della mattinata siamo un po' delusi, non abbiamo visto granché. Io faccio il paragone con il parco nazionale del Chobe, in Botswana ma molto vicino al confine dello Zambia, non lontano dalle cascate Vittoria, dove ero stato anni fa. Era molto più costoso, mi sembra di ricordare 90 dollari a testa, mia sorella può correggermi, che corrispondevano a quasi 70 euro. Questo invece, guida compresa, ci è costato qualcosa come 40 euro scarsi, ma non a testa, per 5 persone. Ma la differenza è abissale, sia nel numero di animali (c'era di tutto, aquile dello Zambesi, coccodrilli, ippopotami, leoni, varani, una miriade di uccelli diversi...) sia nell'organizzazione, cura del parco, preparazione delle guide, che spiegavano di tutto. Come oramai è diventata consuetudine dire, questo è gestito "alla camerunese". Di buono c'è che l'ingresso vale per l'intera giornata, si può uscire e rientrare, e ci troviamo di fronte a un bivio: andare a festeggiare il Capodanno in qualche posto più abitato (ricordo che siamo al 31 Dicembre), perché qui c'è un villaggio grande come una stazione di servizio, o rientrare nel parco con la speranza di vedere i leoni, che è diventata una mezza ossessione. Mettiamo ai voti e il parco vince per tre a uno, andiamo a mangiare e riposare, ché l'alzataccia si sente. Rientriamo verso le 16.30, per avvicinarci all'ora del tramonto, cioè circa le sei del pomeriggio, quasi costante all'equatore. Al tramonto infatti gli animali vanno ad abbeverarsi, evitando il sole del giorno. Siamo molto più fortunati del mattino, dopo pochissimi minuti stiamo a goderci la sacrosanta bevuta di due giraffe, a forse neanche dieci metri di distanza. Ci guardano, ci studiano, noi stiamo fermi, e loro, con una flemma incredibile, decidono che non siamo una minaccia e a turno bevono in una pozza d'acqua. Credo che il turno serva a guardarsi le spalle a vicenda. Ci spostiamo, e il nostro falco arabeggiante a un certo momento ordina all'autista di uscire dalla stradina per entrare in una zona lievemente alberata, noi non capiamo perché finché non siamo più vicini, c'è un altro gruppo di giraffe, almeno 4 stavolta, che mangiano. Qui l'avvistatore diventa il mio eroe, le giraffe sono color savana, come cavolo abbia fatto a vederle pure in mezzo agli alberi, non si sa. Non siamo vicinissimi ma lo spettacolo è notevole, ne ammiriamo la calma camminata, con le gambe che si muovono due a due per lato, prima le destre e poi le sinistre, e così via, cosa forse unica nei quadrupedi. Ci dirigiamo quindi verso un laghetto dove a volte si avvista il nostro benedetto re della giungla, ma attendiamo invano. Da una piccola altura vediamo ancora giraffe, lontane. Oramai siamo vicini al tramonto e anche il nostro avvistatore non ci dà speranze di animali in criniera, però ci porta sicuro vicini al punto in cui la mattina vedemmo gli elefanti, che sono ancora lì. Capiamo presto perché siamo lì: è un punto di passaggio verso l'acqua, dobbiamo solo attendere. Infatti sono sempre più vicini, a turno scrutiamo con il mio binocolo, e una cosa ci colpisce. Di fatto si avvicinano, ma non li vediamo mai muoversi. Capiamo dopo un'attenta osservazione che fanno pochi passi e si fermano di botto, probabilmente seguendo degli inavvertibili (a noi) ordini del capofila. Quando sono fuori dall'erba alta ne contiamo 15, quelli che non vedevamo al mattino sono cuccioli, sparivano alla vista. Benché pesino probabilmente qualche tonnellata, sono teneri. Qui l'incontro è emozionante, sono al massimo a 20 metri di distanza, e si vede chiaramente come facciano qualche passo e si blocchino di colpo, anche con una zampa alzata, suppongo sia una tecnica che consente di sentire facilmente dei rumori minacciosi. Oppure sentono che diciamo "cheese" e si mettono in posa di colpo. Nonostante quello stramaledetto leone non si sia fatto vivo, siamo appagati, felici della scelta, anche colui che aveva votato contro s'è ritenuto più che soddisfatto. Dopo la doccia, chi ti vedo al Campement? Quattro ragazze, di cui una riccia e mulatta, che io riconosco subito essere quelle che avevamo incontrato venendo via da Tourou. A cena scopriamo che fanno parte di un assortito gruppo di belgi, che si dimostrano i re della festa, ci invitano, assieme a dei giapponesi, per far il fatidico brindisi di inizio d'anno. Ci raccontano che il giorno prima sono stati a Rhumsiki e l'Harmattan se n'era andato. La miseriaccia, il giorno prima del nostro arrivo due italiani hanno avuto la visuale limpida, e il giorno dopo che siamo partiti pure i belgi. Praticamente l'Harmattan era lì per noi, venuto con noi, andato con noi. Mi toccherà tornarci. Il "veglione" è stato semplice e divertente, chi si aspettava storie di romantici incontri fugaci rimarrà deluso, abbiamo bevuto insieme, brindato, ballato, saputo che una delle ragazze stava lavorando nell'Est del Camerun e le amiche son venute a trovarla, ma non molto dopo la mezzanotte, tutti a nanna, loro dovevano affrontare il Waza il primo Gennaio all'alba. Noi comunque ci alziamo abbastanza presto e poco dopo le otto siamo già in partenza per tornare alla base di Garoua. Appena partiti, indovinate un po' cosa avvistiamo ai lati della strada? Una giraffa, l'ennesima, che comunque ci guardiamo, sono delle bestie molto eleganti. Si continua, e facciamo una tappa al mercatino di Maroua, che molti dicono essere la più bella città del Camerun, che comunque non ha nulla di speciale, forse è semplicemente più ordinata delle altre. Metto le mani avanti e avverto i mei compagni di viaggio che io non sono un grande appassionato di mercati e odio contrattare, ipotizzando addirittura di farmi un giro mentre loro vanno al mercato. Invece sono l'ultimo a uscirne, c'erano delle cose molto carine, tratto e contratto prezzi, mi dicono che faccio gli affari come un camerunese, e io lo prendo come un complimento. Pranziamo, breve incontro con altri italiani conosciuti dalla nostra boss, che vivono in una missione fuori Maroua, e via verso la base. Facciamo un'ulteriore tappa, les gorges de Kola, un'affascinante piccolo canyon scavato nella roccia da non so quale fiume, e finalmente siamo a Garoua, ora di cena.

Nella prossima puntata:
il giro in solitaria, dopo che i miei compagni di viaggio son tornati a Mbalmayo.

Ed ora, il consueto link alle foto:
Le foto

domenica 17 aprile 2011

Mezz'anno!

Buon complisemestre a Maria!
La mia nipotina ha sei mesi oggi 17 Aprile.
Che tra l'altro è Domenica, esattamente come sei mesi fa.

lunedì 28 marzo 2011

Italia!

Oramai tutte le sorprese che volevo fare le ho fatte.
Quindi è tempo di annunci ufficiali. Ebbene sì, sono in Italia.
Ma non disperate (beh non esageriamo), ché ho ancora da finire
almeno il racconto del Nord ;) che avevo già in canna
ma come spesso accade è rimasto incompiuto e in stadio
di semplice bozza.
Poi magari metterò qualche riflessione sul ritorno,
e se mi vien voglia, pure qualche "vomitata" di tanto in tanto.

Se invece il destino del blog è di scemare, non ci sarà nulla di male.
Alle scemate siete abituati, no?

A presto.

sabato 26 febbraio 2011

Giù al Nord - Garoua e Estremo Nord: Rhumsiki

Ehi ciao!
Voi lassù approvvigionate il genere umano di nuove speranze, procreate, ora è tempo che anch'io partorisca almeno dei racconti. In tre avete figliato, amici miei, e qualcuno è rimasto incinto.
Ma passiamo sanza indugio la parola al vostro membro mobile e viaggiante,
il quale è stato ben lieto di far riaffiorare a poco a poco tutti gli aspetti di un viaggio che farebbe invidia anche a me, se non fosse che tale membro son sempre io.

Dove eravamo rimasti? A Garoua.
Riprendo dal precedente racconto. Prima di ripartire per il naturalistico viaggio
nel divertente viaggio del grande viaggio, abbiamo trascorso un giorno e mezzo in questa bella cittadina, capoluogo della provincia del Nord, ove ci sono alcune strutture del COE, la solita organizzazione per cui lavorano anche i miei parenti quaggiù. I due responsabili delle strutture di lassù son due giuovani simpaticissimi coniugi fiorentini, che ci hanno non solo ospitato, ma portato qua e là, dato un sacco di informazioni e dritte, e raccontato come funzionano le cose da quelle parti. Il tutto, pensate, senza pronunciare una sola C come si deve, per tutti i giorni in cui son stato con loro ;) E nemmeno le T erano tanto nitide, cari i miei padri della lingua. Garoua (e il Nord in generale) sembra molto più ordinato. Certo, non immaginatevi Bressanone, sempre in Africa siamo, è un nord relativo, però vari aspetti danno un senso di pulizia maggiore. I centauri dei moto-taxi, per esempio, hanno tutti una pettorina con tanto di numero che li contraddistingue. A Mbalmayo è già tanto che abbiano una moto che sta in piedi, son tutti abusivi. Io comincio già a notare dei tratti diversi nelle persone, anche se c'è ancora molta varietà. Le figure si slanciano, i visi sono più ossuti, e soprattutto sono generalmente molto più gentili. Ma le differenze di etnie non sono ancora così accentuate, pensate a una nostra città del nord Italia, non è che sapremmo distinguere le persone che vengono dal Sud solo a guardarle, non tutte per lo meno. Con "persone che vengono dal Sud" intendo i terroni, per chiarire, nel caso che qualcuno si fosse eventualmente offeso. Qualche giretto per la città, il fiume, la Bénoué, patria dell'ippopotama-mito, Africa, la stella di Garoua,
della quale ho già parlato, qualche giretto anche nei dintorni, con uno sguardo alla diversa, questa sì, strutturazione dei villaggi e delle case. A parte il paesaggio che in alcuni punti mi fa pensare all'Arizona dei film western, comincia tutto a sapere un po' di arabo. E soprattutto una cosa che mi balza all'occhio: la terra. Non è più rossa, è marroncino-giallastra. Non so se è per il secco, quassù non piove da più di due mesi, o per la diversa composizione mineraria. Ah, le donne! Già a Garoua sono tutte in abiti tradizionali, per tutta la mia permanenza non ne ho vista nessuna con abiti "occidentali". Gli uomini invece sì, ma in proporzione molto minore che da noi (a Mbalmayo). Con le donne intendo anche le bambine, e sono davvero belle e caratteristiche con l'abito lungo variopinto, famoso al Nord infatti è il pagne, il panno. Sembrano piccole donnine, fanno tenerezza. Una lingua molto parlata è il Fulfuldé, lingua veicolare fra varie popolazioni del Nord, fra cui i Peul o Fulbé, gente Saheliana. Il Sahel è la fascia sub-sahariana, fra il deserto e le Savane. Le persone di lassù sono quelle più arabeggianti, alti e magrissimi, con dei tratti molto riconoscibili. Era d'obbligo anche un giro esplorativo dell'ospedale di Garoua, nel quale ho realizzato un mini-servizio per mio cognato, interessato a vedere come se la cavano lassù. L'ospedale è in un complesso di edifici, fra cui la casa del COE dove abbiamo soggiornato. Hanno anche una fattoria, una "Maison de jeunes", molto attiva, fa attività per i giovani, e una specie di scuola-collegio per ragazzi in difficoltà, il Saare Jabbama, di cui ignoro o non ricordo il significato preciso.
Di giorno fa caldo ma è molto sopportabile in questo periodo, non è per niente umido, non si suda nemmeno. Ben diverso, ci dicono, sarebbe andarci adesso, diciamo verso Marzo, si superano ogni giorno i 50 gradi e di notte non si scende sotto i 40. Invece per ora ci stupiamo, di notte la temperatura scende tanto da non far bastare, almeno a me, il lenzuolo, chiedo una copertina. Il primo incidente dei 3 che ho anticipato: nel superare una bicicletta, questa ha fatto un frontale con una moto... L'insonne ed io eravamo nel cassone del pickup in dotazione al COE, ci siamo ben visti la scena, e anzi, supponiamo
che il nostro mezzo sia stato anche in parte responsabile, magari abbiamo distratto il motociclista, che però viaggiava sulla sua sinistra, 'tacci sua. Ok, non eravamo su carreggiata asfaltata, era più una stradina in mezzo alla savana, ma almeno una parvenza di codice della strada sarebbe meglio tenerla. Pare che nessuno si sia fatto nulla, per fortuna.

Ma finalmente il vero motivo per cui siamo venuti: andare nell'Estremo Nord, spingersi su verso il Sahel, a cercare le belve feroci. Ci prestano un'auto, ci forniscono la guida, un tizio molto simpatico che lavora lì, che ci fa anche da autista, il tutto a un tanto al giorno. Tredicimila franchi per la precisione, meno di 20 euro al dì, se ci pensate è pochissimo, ma considerando l'economia locale, in 4 giorni si è fatto praticamente uno stipendio. E' consigliabile avere una guida per vari motivi, primo fra tutti la lingua, man mano che ci si spinge verso nord,
il francese serve quanto l'italiano in certe valli altoatesine, per fare un confronto. A volte, proprio a nulla. Il Fulfuldé va alla grande lassù. E già sapevo anche prima di andare una parola in quella lingua, la scrivo come la sento pronunciare: nassàra, che è l'uomo bianco. Sono lieto di incontrare una parola così, in Zambia c'era "muzungu", ma a quanto pare in Camerun non ce n'è una, da noi vige "le blanc", solo al nord noi siamo i nassàra. Che ovviamente senti pronunciare dovunque, ma in un modo che non risulta né cafone né schernitorio. Pare che derivi da nazzareno, tra l'altro. Poi la guida locale, camerunese, è un ottimo passaporto e una sicurezza. Dei bianchi lasciati a loro stessi non sono sempre al sicuro. Partiamo verso le sette del mattino del terzo giorno, cioè il 29 Dicembre.
La strada è molto buona, asfaltata di recente, per un lungo tratto, quasi fino a Maroua, il capoluogo dell'Estremo Nord. (Garoua, Maroua, ma del resto ho già parlato della fantasia dei camerunesi). Ma non ci arriviamo, a Maroua, qualche km prima svoltiamo a sinistra e ci dirigiamo verso Mokolo, sempre su strada asfaltata. E` tutto un susseguirsi di villaggi con agglomerati di case che sembrano fortini medievali. E per almeno un'ora e mezza, miglio, tanto tanto miglio, campi sconfinati, da stufarsi a guardarlo. E non c'è nemmeno un canarino! Invece è pieno di asini. Non parlo dell'analfabetismo, ma di quelle bestie che ragliano, ce ne sono dovunque, e sono usati come lo erano da noi qualche tempo fa, mezzi di locomozione e trasporto merci, e non come ora, nel sugo delle tagliatelle. A Mokolo, cittadina che trovo un po' anonima ma che fra qualche giorno mi regalerà un'inaspettata sorpresa, l'asfalto finisce, e fin dai primi metri capiamo che il resto del viaggio, in teoria un'ora e mezza, non sarà più tanto comodo. Non solo la strada è di terra, ma ha talmente tante buche e irregolarità da doverla percorrere per lunghi tratti ai venti all'ora, e rallentando spesso, pure, per non scassare la macchina nelle voragini. Questa parte è molto stancante, ma anche tremendamente affascinante, ci si comincia a innalzare d'altitudine. La nostra prima meta è Rhumsiki, con l'accento sulla u, che d'ora in poi mi divertirò a scrivere indifferentemente in almeno dei 3 modi corretti. Roumsiki, dicevamo ;) è nella zona Kapsiki, e noi ci siamo divertiti per giorni a dire flupsiki gnamsiki cipsiki. Kapsiki è il nome di un gruppo etnico, e indica anche la lingua. Ve l'ho mai detto che il Camerun vanta oltre 240 lingue censite? Ecco. Per visitare questo sito che ha un fascino unico si può dormire nel lussuoso hotel, o sfruttare le conoscenze di missionari italiani. Il passaparola è un ottimo viatico, tramite chi conosceva quelli che conoscevano, abbiamo il numero di una missione sperduta fra le montagne, in un villaggio che si chiama Mogodé, a pochi km dal famosissimo Rhumsiki. Man mano che ci avventuriamo, in direzione Ovest, verso la Nigeria, per gli amanti della geografia, vediamo che si fa sempre più fitta una strana foschia, sembra quasi nebbia. Il nostro autista-guida ci dice che è l'Harmattan, vento che viene addirittura dal Sahara, forse emigra al Sud per le ferie. Toglie un sacco di visibilità, nascondendo il panorama, e porta anche fresco. Per strada incontriamo 3 italiani, uno è ben noto alla nostra boss, e fa da accompagnatore di altri 2. Ci dicono che fino al giorno prima era tutto limpido, e ti pareva. Dopo più di due ore di viaggio (e non una e mezza) arriviamo alla missione di Mogodé, sapevano del nostro arrivo grazie al telefono ma nessuno di noi li conosce, ci presentiamo, lasciamo i nostri bagagli, e siccome sono le prime ore del pomeriggio andiamo subito alla volta di Rumsiki, chiedendo consiglio su dove mangiare: da Don Chisciotte. Se fosse il suo nome vero dato da genitori fantasiosi o alcolisti, o un soprannome, non ci è dato saperlo.
Risaliamo quindi sul pickup, l'insonne e il sottoscritto nel cassone posteriore, per meglio ammirare il panorama african montano. Arrivati a Don Chisciotte, alle porte di Roumsiki, ci fermiamo dall'altro lato della strada, accostiamo ma senza scendere dal mezzo, per sapere se si può mangiare e contrattare il prezzo. Dei bambini si avvicinano e io dal cassone ne prendo uno per la mano, e poco dopo torna verso dove era venuto, attraversando la strada. In quel mentre giunge una moto a velocità un po' troppo alta per passare in mezzo a delle persone, prende il bambino in pieno, e poi si ribalta sopra di lui, di lato. E` agghiacciante, la sorellina, poco più grande, con un urlo lo tira fuori da sotto la moto, rischiando di fargli ancora più male, in un lampo accorrono varie persone, chi insultando il motociclista, chi cercando di rianimare il bambino che non dà alcun segno di vita. Dopo poco, per fortuna, comincia a tremare tutto, e si sveglia scoppiando in un pianto disperato che paradossalmente rassicura, rispetto all'immobilità di poco prima. Lo portano in casa, più tardi all'ospedale più vicino, credo fosse a Mokolo, un bel viaggetto, ma dicono che non si è fatto quasi nulla, solo qualche botta. In quell'occasione ho desiderato essere un medico, perché mi son reso conto di quanto inutili si può essere. Per un buon quarto d'ora, dopo, tremo letteralmente, e rimugino sull'accaduto e sulla mia reazione. Perché per un bel po' sono rimasto come congelato, per molti secondi, senza nemmeno scendere dal pickup. A vedermi da fuori avrei anche potuto sembrare indifferente, mi son detto, e invece ero semplicemente in tilt, non riuscivo a fare una mossa. Per fortuna è andato tutto bene, il padre del bambino, che è proprio il nostro ristoratore, Don Chisciotte, ci dice che probabilmente il motociclista era impasticcato. Era un moto-taxi, comunque, con 2 persone a bordo. Cerco di dimenticare il fattaccio finito bene, bevendo l'immancabile birra camerunese, e degustando i cibi locali, che con una punta di delusione scopro non chiamarsi "carne alla Sancho Panza", "pane del mulino a vento", "frutta Dulcinea", ma ancora brochettes, nella nordica versione, diverse ma comunque buone, e fettine di carne di manzo, con contorni di patate fritte e verdure crude. Nel tavolo vicino ci sono tre americani, e la cosa buffa è che si sono conosciuti lì, non erano venuti insieme come all'inizio abbiamo pensato. Una di loro, che parlava un francese tutto suo, insegna informatica a Bamenda, una città del Nord-Ovest, provincia anglofona. Mi accende qualche lampadina, ma non ci penso più di tanto. Gli altri due sembrano attori, un ragazzo e una ragazza, bellissimi entrambi, lei è volontaria in qualche missione nei dintorni, non ricordo, e ha dei tratti asiatici, lui sta girando il Camerun e sembra un incrocio fra Keanu Reeves e Colin Farrell. O fra Vittorio Gassman e Alvaro Vitali, giusto per confondere le acque. Scambiamo con loro un paio di chiacchiere.
Finite le libagioni veniamo alla Storia e alla natura, poche centinaia di metri e siamo al villaggio, sulla piazza c'è un hotel moderno, che un po' stona, unico alloggio per chi non ha conoscenze nelle cosche cattoliche. Il luogo in sé è stupendo, quelle architetture così particolari, quel contorno di picchi rocciosi purtroppo sbiadito dall'Harmattan. E subito si colgono le note stonate. Arrivi in una piazza e c'è tutto come in una cartolina, attrezzi di legno per la pettinatura del cotone, almeno così mi sembra, e donne che filano a mano con il fuso, su di una roccia al centro di una piazzetta, disposte si direbbe ad arte per essere fotografate, e tutto intorno negozietti di artigianato. Sa veramente troppo di turistico. La conferma viene dalla boss che si avvicina chiedendo come fanno a filare, e si sente rispondere "te lo do per mille franchi". Ah, le antiche arti! Dovunque ci sono piccini e meno piccini che sanno in francese due parole: Bonjour e Cadeau. La prima è facile e la sanno tutti, la seconda è regalo. Sono talmente abituati a vedere bianchi e gialli (c'era un folto gruppo di giapponesi, che stranamente fotografavano tutto), che hanno imparato l'essenziale per la comunicazione con un ricco straniero. Scansando i vari "buongiorno regalo", facciamo due passi appena fuori, ed è veramente tutto molto bello, e in teoria lo sarebbe molto di più. Ci perdiamo la Nigeria, sempre per colpa di quel vento maledetto, infatti da alcuni punti dicono che si vedrebbe bene, siamo molto, molto vicini. Rumsiki ha anche una Storia. E` uno dei pochi luoghi che è riuscito a difendersi dalla diffusione dell'Islam, che da queste parti è vista proprio come un'invasione. Questo grazie ai picchi, al terreno aspro, alle grotte in cui si potevano nascondere e lanciare sassi agli invasori. Un paese gemello, dalla parte nigeriana, oltre la vallata, ha giocato, in simbiosi, il medesimo importantissimo ruolo. Purtroppo non ne ricordo il nome, ma credo che per chi voglia approfondire, qualcosa si trovi. Al ritorno dal giretto breve, la piazzetta che poco fa vedeva molti artigiani all'opera, è deserta. Probabilmente staccano alle cinque, ci siamo detti, ad ennesima conferma dell'impronta turistica del luogo. Come praticamente tutto in Africa, grandi contraddizioni, un luogo antico dove però ben conoscono il valore del denaro e hanno saputo sfruttare l'ondata di turisti. E come biasimarli, del resto, prima vivevano di stenti. Un pomeriggio qui ci basta, ma solo perché di più non ne abbiamo, di tempo, e poi comunque vien solo rabbia, a pensare al panorama invisibile dietro la polvere di cui è densa l'aria. Dato tutto questo, consiglio anche voi di cercarvi su internet delle foto, le nostre sono tutte corredate di Harmattan. Io memorizzo quel luogo come ideale per una bella vacanzina, magari soggiornando nella missione, avendo una mountain bike con sé per esplorare i villaggi. Ma per stavolta il viaggio continua, torniamo alla base temporanea, la missione. I 3 preti che ci sono, di cui uno forse solo temporaneo, sono uno più fuori dell'altro. C'è il giovane schizzato che secondo me s'è fatto prete per evitare l'ospedale psichiatrico, il fine umorista etereo, e il decano, che non è vecchio, ma mi sa di decano, che mi fa schiantare dalle risate, con il suo lumbard che si insinua spesso e volentieri nelle frasi in italiano. Cena buona e abbondante, egregiamente chiusa con superalcolici fatti in casa, pardon, missione, di cui uno tutto verde realizzato con un erba che "in Italia sarebbe illegale", così dice il decano. Il luogo è molto spartano, il bagno ha una tazza un po' fantasiosa, ma non ha lo scarico, è un buco e basta. Lavandino in un casotto a parte. Dormo con l'autista-guida, che va a letto prima di tutti, la boss e l'insonne in un altra stanza, il musico da solo, come amano stare i plantigradi. Fa un freddo cane, altro che Africa, lassù sembrava di essere nei nostri inverni, il tutto comunque relativo al fatto che non siamo vestiti proprio pesantemente, ma con felpine. Prima delle otto di mattina si riparte, fuochi dovunque con persone che scacciano i diavoli del gelo, chissà se quelle case coi mattoni di fango riparano dal freddo tanto quanto dal caldo. La polvere dell'Harmattan ci lascia un retrogusto in bocca, e non è solo metaforico. Alla prima sosta fotografica, in una piana surreale, con un albero che sembra un animale, io salgo nuovamente dietro, in mezzo ai bagagli, sul cassone scoperto del pickup. Fa freddo, ma mi imbacucco e resisto, per un po' soffro ma cacchio se ne vale la pena, è una meraviglia, anche se non si vede lontano. Data la temperatura e la scomodità della mia posizione non riesco a estrarre in tempo dalla fondina la mia arma preferita, e la più bella foto che non ho mai fatto rimane nella mia testa: due bambini, su di un asino ciascuno, ma non in groppa come a cavallo, son quasi sdraiati sulla pancia, con il proprio corpo tengono fermo un carico non ben identificato, forse cibo, e loro "inforcano" la bestia quasi appoggiati sopra il suo sedere. Con quello sfondo che ha qualcosa tra l'Africa, le Dolomiti e l'Arizona, è un'immagine che mi allibisce e incanta, nella sua semplice e pura bellezza.

mercoledì 16 febbraio 2011

I dintorni di Mbalmayo

Eccomi! 
Ma come, diranno i miei piccoli lettori, e il Nord?
Già, avranno ragione, coloro, ma nella cernita di foto del Nord mi ripetevo continuamente
"eh vedi com'è diverso il paesaggio". Solo che sempre loro, i miei piccoli lettori, mica l'hanno mai visto quello di qui, di paesaggio, come fanno a fare i confronti?
Questo perché non sono un BB (Bravo Blogger), altrimenti avrei tenuto un diario più sensato dal punto di vista cronologico.

Quindi ora vi sorbite un po' (poche) di foto di qui, di "casa", Mbalmayo, ridente cittadina del centro, ma non fatevi ingannare: ride perché vi piglia per il culo.
Perché è passato un altro mese? Manfatti... Posso vantare un legittimo impedimento da far invidia a chiunque, mi sono ammalato per l'ennesima volta, e ho passato giornate intere (corredate di nottate) al pc per dare una sferzata finale al progetto che sto seguendo quaggiù.
La malattia di turno era una strana forma di malessere intestinale, esperienza poi condivisa dal cognato, tanto da far pensare a un qualche virus. Ma non mi dilungo.
Comunque sappiate che la malaria era passata, qualcuno mi chiede se ce l'ho ancora, è durata qualche giorno più una settimana buona di rincoglionimento, ma eravamo al 14 Ottobre.
Altri aggiornamenti, leggermente tardivi: mia madre è tornata in patria, è partita da qui il giorno di Santa Lucia, arrivando il giorno successivo, il 14 Dicembre, giorno fatidico per la nostra Italia, quando finalmente, dopo tanti anni, non è cambiato nulla.
Qui invece è cambiata la stagione, almeno così pare. In teoria dovremmo essere ancora in stagione secca fino a Marzo inoltrato, ma ci sono già stati dei temporali, e giusto per non perdere il ritmo, si è già bruciato qualche apparecchio. Il tempo è impazzito, dicono quaggiù, che potrebbe essere la versione camerunese di "non esiste più la mezza stagione", che qui non può funzionare, almeno per la temperatura è un po' come essere sempre in mezza stagione.
Nel week end appena trascorso siamo stati a Kribi, nota località di mare del Camerun. E quando dico mare, intendo Oceano Atlantico, mica Jesolo.
Per fidelizzazione la mia telecamera ha dato ancora di matto, quindi ho dovuto smettere di filmare e scattare foto, ma qualcosa di bello c'è, anche grazie agli altri apparecchi, di sorella e cognato. Giusto come anticipazione.