sabato 26 febbraio 2011

Giù al Nord - Garoua e Estremo Nord: Rhumsiki

Ehi ciao!
Voi lassù approvvigionate il genere umano di nuove speranze, procreate, ora è tempo che anch'io partorisca almeno dei racconti. In tre avete figliato, amici miei, e qualcuno è rimasto incinto.
Ma passiamo sanza indugio la parola al vostro membro mobile e viaggiante,
il quale è stato ben lieto di far riaffiorare a poco a poco tutti gli aspetti di un viaggio che farebbe invidia anche a me, se non fosse che tale membro son sempre io.

Dove eravamo rimasti? A Garoua.
Riprendo dal precedente racconto. Prima di ripartire per il naturalistico viaggio
nel divertente viaggio del grande viaggio, abbiamo trascorso un giorno e mezzo in questa bella cittadina, capoluogo della provincia del Nord, ove ci sono alcune strutture del COE, la solita organizzazione per cui lavorano anche i miei parenti quaggiù. I due responsabili delle strutture di lassù son due giuovani simpaticissimi coniugi fiorentini, che ci hanno non solo ospitato, ma portato qua e là, dato un sacco di informazioni e dritte, e raccontato come funzionano le cose da quelle parti. Il tutto, pensate, senza pronunciare una sola C come si deve, per tutti i giorni in cui son stato con loro ;) E nemmeno le T erano tanto nitide, cari i miei padri della lingua. Garoua (e il Nord in generale) sembra molto più ordinato. Certo, non immaginatevi Bressanone, sempre in Africa siamo, è un nord relativo, però vari aspetti danno un senso di pulizia maggiore. I centauri dei moto-taxi, per esempio, hanno tutti una pettorina con tanto di numero che li contraddistingue. A Mbalmayo è già tanto che abbiano una moto che sta in piedi, son tutti abusivi. Io comincio già a notare dei tratti diversi nelle persone, anche se c'è ancora molta varietà. Le figure si slanciano, i visi sono più ossuti, e soprattutto sono generalmente molto più gentili. Ma le differenze di etnie non sono ancora così accentuate, pensate a una nostra città del nord Italia, non è che sapremmo distinguere le persone che vengono dal Sud solo a guardarle, non tutte per lo meno. Con "persone che vengono dal Sud" intendo i terroni, per chiarire, nel caso che qualcuno si fosse eventualmente offeso. Qualche giretto per la città, il fiume, la Bénoué, patria dell'ippopotama-mito, Africa, la stella di Garoua,
della quale ho già parlato, qualche giretto anche nei dintorni, con uno sguardo alla diversa, questa sì, strutturazione dei villaggi e delle case. A parte il paesaggio che in alcuni punti mi fa pensare all'Arizona dei film western, comincia tutto a sapere un po' di arabo. E soprattutto una cosa che mi balza all'occhio: la terra. Non è più rossa, è marroncino-giallastra. Non so se è per il secco, quassù non piove da più di due mesi, o per la diversa composizione mineraria. Ah, le donne! Già a Garoua sono tutte in abiti tradizionali, per tutta la mia permanenza non ne ho vista nessuna con abiti "occidentali". Gli uomini invece sì, ma in proporzione molto minore che da noi (a Mbalmayo). Con le donne intendo anche le bambine, e sono davvero belle e caratteristiche con l'abito lungo variopinto, famoso al Nord infatti è il pagne, il panno. Sembrano piccole donnine, fanno tenerezza. Una lingua molto parlata è il Fulfuldé, lingua veicolare fra varie popolazioni del Nord, fra cui i Peul o Fulbé, gente Saheliana. Il Sahel è la fascia sub-sahariana, fra il deserto e le Savane. Le persone di lassù sono quelle più arabeggianti, alti e magrissimi, con dei tratti molto riconoscibili. Era d'obbligo anche un giro esplorativo dell'ospedale di Garoua, nel quale ho realizzato un mini-servizio per mio cognato, interessato a vedere come se la cavano lassù. L'ospedale è in un complesso di edifici, fra cui la casa del COE dove abbiamo soggiornato. Hanno anche una fattoria, una "Maison de jeunes", molto attiva, fa attività per i giovani, e una specie di scuola-collegio per ragazzi in difficoltà, il Saare Jabbama, di cui ignoro o non ricordo il significato preciso.
Di giorno fa caldo ma è molto sopportabile in questo periodo, non è per niente umido, non si suda nemmeno. Ben diverso, ci dicono, sarebbe andarci adesso, diciamo verso Marzo, si superano ogni giorno i 50 gradi e di notte non si scende sotto i 40. Invece per ora ci stupiamo, di notte la temperatura scende tanto da non far bastare, almeno a me, il lenzuolo, chiedo una copertina. Il primo incidente dei 3 che ho anticipato: nel superare una bicicletta, questa ha fatto un frontale con una moto... L'insonne ed io eravamo nel cassone del pickup in dotazione al COE, ci siamo ben visti la scena, e anzi, supponiamo
che il nostro mezzo sia stato anche in parte responsabile, magari abbiamo distratto il motociclista, che però viaggiava sulla sua sinistra, 'tacci sua. Ok, non eravamo su carreggiata asfaltata, era più una stradina in mezzo alla savana, ma almeno una parvenza di codice della strada sarebbe meglio tenerla. Pare che nessuno si sia fatto nulla, per fortuna.

Ma finalmente il vero motivo per cui siamo venuti: andare nell'Estremo Nord, spingersi su verso il Sahel, a cercare le belve feroci. Ci prestano un'auto, ci forniscono la guida, un tizio molto simpatico che lavora lì, che ci fa anche da autista, il tutto a un tanto al giorno. Tredicimila franchi per la precisione, meno di 20 euro al dì, se ci pensate è pochissimo, ma considerando l'economia locale, in 4 giorni si è fatto praticamente uno stipendio. E' consigliabile avere una guida per vari motivi, primo fra tutti la lingua, man mano che ci si spinge verso nord,
il francese serve quanto l'italiano in certe valli altoatesine, per fare un confronto. A volte, proprio a nulla. Il Fulfuldé va alla grande lassù. E già sapevo anche prima di andare una parola in quella lingua, la scrivo come la sento pronunciare: nassàra, che è l'uomo bianco. Sono lieto di incontrare una parola così, in Zambia c'era "muzungu", ma a quanto pare in Camerun non ce n'è una, da noi vige "le blanc", solo al nord noi siamo i nassàra. Che ovviamente senti pronunciare dovunque, ma in un modo che non risulta né cafone né schernitorio. Pare che derivi da nazzareno, tra l'altro. Poi la guida locale, camerunese, è un ottimo passaporto e una sicurezza. Dei bianchi lasciati a loro stessi non sono sempre al sicuro. Partiamo verso le sette del mattino del terzo giorno, cioè il 29 Dicembre.
La strada è molto buona, asfaltata di recente, per un lungo tratto, quasi fino a Maroua, il capoluogo dell'Estremo Nord. (Garoua, Maroua, ma del resto ho già parlato della fantasia dei camerunesi). Ma non ci arriviamo, a Maroua, qualche km prima svoltiamo a sinistra e ci dirigiamo verso Mokolo, sempre su strada asfaltata. E` tutto un susseguirsi di villaggi con agglomerati di case che sembrano fortini medievali. E per almeno un'ora e mezza, miglio, tanto tanto miglio, campi sconfinati, da stufarsi a guardarlo. E non c'è nemmeno un canarino! Invece è pieno di asini. Non parlo dell'analfabetismo, ma di quelle bestie che ragliano, ce ne sono dovunque, e sono usati come lo erano da noi qualche tempo fa, mezzi di locomozione e trasporto merci, e non come ora, nel sugo delle tagliatelle. A Mokolo, cittadina che trovo un po' anonima ma che fra qualche giorno mi regalerà un'inaspettata sorpresa, l'asfalto finisce, e fin dai primi metri capiamo che il resto del viaggio, in teoria un'ora e mezza, non sarà più tanto comodo. Non solo la strada è di terra, ma ha talmente tante buche e irregolarità da doverla percorrere per lunghi tratti ai venti all'ora, e rallentando spesso, pure, per non scassare la macchina nelle voragini. Questa parte è molto stancante, ma anche tremendamente affascinante, ci si comincia a innalzare d'altitudine. La nostra prima meta è Rhumsiki, con l'accento sulla u, che d'ora in poi mi divertirò a scrivere indifferentemente in almeno dei 3 modi corretti. Roumsiki, dicevamo ;) è nella zona Kapsiki, e noi ci siamo divertiti per giorni a dire flupsiki gnamsiki cipsiki. Kapsiki è il nome di un gruppo etnico, e indica anche la lingua. Ve l'ho mai detto che il Camerun vanta oltre 240 lingue censite? Ecco. Per visitare questo sito che ha un fascino unico si può dormire nel lussuoso hotel, o sfruttare le conoscenze di missionari italiani. Il passaparola è un ottimo viatico, tramite chi conosceva quelli che conoscevano, abbiamo il numero di una missione sperduta fra le montagne, in un villaggio che si chiama Mogodé, a pochi km dal famosissimo Rhumsiki. Man mano che ci avventuriamo, in direzione Ovest, verso la Nigeria, per gli amanti della geografia, vediamo che si fa sempre più fitta una strana foschia, sembra quasi nebbia. Il nostro autista-guida ci dice che è l'Harmattan, vento che viene addirittura dal Sahara, forse emigra al Sud per le ferie. Toglie un sacco di visibilità, nascondendo il panorama, e porta anche fresco. Per strada incontriamo 3 italiani, uno è ben noto alla nostra boss, e fa da accompagnatore di altri 2. Ci dicono che fino al giorno prima era tutto limpido, e ti pareva. Dopo più di due ore di viaggio (e non una e mezza) arriviamo alla missione di Mogodé, sapevano del nostro arrivo grazie al telefono ma nessuno di noi li conosce, ci presentiamo, lasciamo i nostri bagagli, e siccome sono le prime ore del pomeriggio andiamo subito alla volta di Rumsiki, chiedendo consiglio su dove mangiare: da Don Chisciotte. Se fosse il suo nome vero dato da genitori fantasiosi o alcolisti, o un soprannome, non ci è dato saperlo.
Risaliamo quindi sul pickup, l'insonne e il sottoscritto nel cassone posteriore, per meglio ammirare il panorama african montano. Arrivati a Don Chisciotte, alle porte di Roumsiki, ci fermiamo dall'altro lato della strada, accostiamo ma senza scendere dal mezzo, per sapere se si può mangiare e contrattare il prezzo. Dei bambini si avvicinano e io dal cassone ne prendo uno per la mano, e poco dopo torna verso dove era venuto, attraversando la strada. In quel mentre giunge una moto a velocità un po' troppo alta per passare in mezzo a delle persone, prende il bambino in pieno, e poi si ribalta sopra di lui, di lato. E` agghiacciante, la sorellina, poco più grande, con un urlo lo tira fuori da sotto la moto, rischiando di fargli ancora più male, in un lampo accorrono varie persone, chi insultando il motociclista, chi cercando di rianimare il bambino che non dà alcun segno di vita. Dopo poco, per fortuna, comincia a tremare tutto, e si sveglia scoppiando in un pianto disperato che paradossalmente rassicura, rispetto all'immobilità di poco prima. Lo portano in casa, più tardi all'ospedale più vicino, credo fosse a Mokolo, un bel viaggetto, ma dicono che non si è fatto quasi nulla, solo qualche botta. In quell'occasione ho desiderato essere un medico, perché mi son reso conto di quanto inutili si può essere. Per un buon quarto d'ora, dopo, tremo letteralmente, e rimugino sull'accaduto e sulla mia reazione. Perché per un bel po' sono rimasto come congelato, per molti secondi, senza nemmeno scendere dal pickup. A vedermi da fuori avrei anche potuto sembrare indifferente, mi son detto, e invece ero semplicemente in tilt, non riuscivo a fare una mossa. Per fortuna è andato tutto bene, il padre del bambino, che è proprio il nostro ristoratore, Don Chisciotte, ci dice che probabilmente il motociclista era impasticcato. Era un moto-taxi, comunque, con 2 persone a bordo. Cerco di dimenticare il fattaccio finito bene, bevendo l'immancabile birra camerunese, e degustando i cibi locali, che con una punta di delusione scopro non chiamarsi "carne alla Sancho Panza", "pane del mulino a vento", "frutta Dulcinea", ma ancora brochettes, nella nordica versione, diverse ma comunque buone, e fettine di carne di manzo, con contorni di patate fritte e verdure crude. Nel tavolo vicino ci sono tre americani, e la cosa buffa è che si sono conosciuti lì, non erano venuti insieme come all'inizio abbiamo pensato. Una di loro, che parlava un francese tutto suo, insegna informatica a Bamenda, una città del Nord-Ovest, provincia anglofona. Mi accende qualche lampadina, ma non ci penso più di tanto. Gli altri due sembrano attori, un ragazzo e una ragazza, bellissimi entrambi, lei è volontaria in qualche missione nei dintorni, non ricordo, e ha dei tratti asiatici, lui sta girando il Camerun e sembra un incrocio fra Keanu Reeves e Colin Farrell. O fra Vittorio Gassman e Alvaro Vitali, giusto per confondere le acque. Scambiamo con loro un paio di chiacchiere.
Finite le libagioni veniamo alla Storia e alla natura, poche centinaia di metri e siamo al villaggio, sulla piazza c'è un hotel moderno, che un po' stona, unico alloggio per chi non ha conoscenze nelle cosche cattoliche. Il luogo in sé è stupendo, quelle architetture così particolari, quel contorno di picchi rocciosi purtroppo sbiadito dall'Harmattan. E subito si colgono le note stonate. Arrivi in una piazza e c'è tutto come in una cartolina, attrezzi di legno per la pettinatura del cotone, almeno così mi sembra, e donne che filano a mano con il fuso, su di una roccia al centro di una piazzetta, disposte si direbbe ad arte per essere fotografate, e tutto intorno negozietti di artigianato. Sa veramente troppo di turistico. La conferma viene dalla boss che si avvicina chiedendo come fanno a filare, e si sente rispondere "te lo do per mille franchi". Ah, le antiche arti! Dovunque ci sono piccini e meno piccini che sanno in francese due parole: Bonjour e Cadeau. La prima è facile e la sanno tutti, la seconda è regalo. Sono talmente abituati a vedere bianchi e gialli (c'era un folto gruppo di giapponesi, che stranamente fotografavano tutto), che hanno imparato l'essenziale per la comunicazione con un ricco straniero. Scansando i vari "buongiorno regalo", facciamo due passi appena fuori, ed è veramente tutto molto bello, e in teoria lo sarebbe molto di più. Ci perdiamo la Nigeria, sempre per colpa di quel vento maledetto, infatti da alcuni punti dicono che si vedrebbe bene, siamo molto, molto vicini. Rumsiki ha anche una Storia. E` uno dei pochi luoghi che è riuscito a difendersi dalla diffusione dell'Islam, che da queste parti è vista proprio come un'invasione. Questo grazie ai picchi, al terreno aspro, alle grotte in cui si potevano nascondere e lanciare sassi agli invasori. Un paese gemello, dalla parte nigeriana, oltre la vallata, ha giocato, in simbiosi, il medesimo importantissimo ruolo. Purtroppo non ne ricordo il nome, ma credo che per chi voglia approfondire, qualcosa si trovi. Al ritorno dal giretto breve, la piazzetta che poco fa vedeva molti artigiani all'opera, è deserta. Probabilmente staccano alle cinque, ci siamo detti, ad ennesima conferma dell'impronta turistica del luogo. Come praticamente tutto in Africa, grandi contraddizioni, un luogo antico dove però ben conoscono il valore del denaro e hanno saputo sfruttare l'ondata di turisti. E come biasimarli, del resto, prima vivevano di stenti. Un pomeriggio qui ci basta, ma solo perché di più non ne abbiamo, di tempo, e poi comunque vien solo rabbia, a pensare al panorama invisibile dietro la polvere di cui è densa l'aria. Dato tutto questo, consiglio anche voi di cercarvi su internet delle foto, le nostre sono tutte corredate di Harmattan. Io memorizzo quel luogo come ideale per una bella vacanzina, magari soggiornando nella missione, avendo una mountain bike con sé per esplorare i villaggi. Ma per stavolta il viaggio continua, torniamo alla base temporanea, la missione. I 3 preti che ci sono, di cui uno forse solo temporaneo, sono uno più fuori dell'altro. C'è il giovane schizzato che secondo me s'è fatto prete per evitare l'ospedale psichiatrico, il fine umorista etereo, e il decano, che non è vecchio, ma mi sa di decano, che mi fa schiantare dalle risate, con il suo lumbard che si insinua spesso e volentieri nelle frasi in italiano. Cena buona e abbondante, egregiamente chiusa con superalcolici fatti in casa, pardon, missione, di cui uno tutto verde realizzato con un erba che "in Italia sarebbe illegale", così dice il decano. Il luogo è molto spartano, il bagno ha una tazza un po' fantasiosa, ma non ha lo scarico, è un buco e basta. Lavandino in un casotto a parte. Dormo con l'autista-guida, che va a letto prima di tutti, la boss e l'insonne in un altra stanza, il musico da solo, come amano stare i plantigradi. Fa un freddo cane, altro che Africa, lassù sembrava di essere nei nostri inverni, il tutto comunque relativo al fatto che non siamo vestiti proprio pesantemente, ma con felpine. Prima delle otto di mattina si riparte, fuochi dovunque con persone che scacciano i diavoli del gelo, chissà se quelle case coi mattoni di fango riparano dal freddo tanto quanto dal caldo. La polvere dell'Harmattan ci lascia un retrogusto in bocca, e non è solo metaforico. Alla prima sosta fotografica, in una piana surreale, con un albero che sembra un animale, io salgo nuovamente dietro, in mezzo ai bagagli, sul cassone scoperto del pickup. Fa freddo, ma mi imbacucco e resisto, per un po' soffro ma cacchio se ne vale la pena, è una meraviglia, anche se non si vede lontano. Data la temperatura e la scomodità della mia posizione non riesco a estrarre in tempo dalla fondina la mia arma preferita, e la più bella foto che non ho mai fatto rimane nella mia testa: due bambini, su di un asino ciascuno, ma non in groppa come a cavallo, son quasi sdraiati sulla pancia, con il proprio corpo tengono fermo un carico non ben identificato, forse cibo, e loro "inforcano" la bestia quasi appoggiati sopra il suo sedere. Con quello sfondo che ha qualcosa tra l'Africa, le Dolomiti e l'Arizona, è un'immagine che mi allibisce e incanta, nella sua semplice e pura bellezza.


La prossima base sarà il parco nazionale di Waza, ancora più a nord, verso nord-est per la precisione, dove tutti speriamo di vedere tanti animali.
Ma intanto vi consiglio questo, ci sono 2-3 foto giusto per sapere cosa avremmo dovuto vedere, anche se senza tutto quel verde, ché la stagione è diversa:
http://en.wikipedia.org/wiki/Rhumsiki


Queste invece le foto del viaggio fin qui, buona visione.

Da Garoua a Rhumsiki.

1 commento:

  1. Veccio! L'albero è un'acacia. Belli i vasi porta-semi-conta-anni, me ne porti uno? Basta che torni là, sei sempre più vicino di me...HI Hi hi!!!
    Sabrischia

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